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Mediterraneo, studiosi alla ricerca di uno strato di sale sul fondale

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Studiosi alla ricerca di uno strato di sale spesso più di tre chilometri, nascosto da qualche parte sotto il fondale del mediterraneo.

Alcuni scienziati credono che l’intera distesa d’acqua evaporò per un periodo, ed i minerali biancastri sono una delle poche tracce di un antico Mar Mediterraneo che scomparve milioni di anni fa.

Dopo decenni di studi, i dettagli che riguardano la scomparsa del mare e i torrenti d’acqua che riempirono il suo bacino, continuano a rimanere un mistero.

Il responsabile del riempimento del Mediterraneo circa cinque milioni di anni fa potrebbe essere stata la più grande inondazione nella storia del nostro pianeta.

Secondo una stima, la cascata d’acqua che riempì il suo bacino cavernoso ebbe una portata pari a 500 volte quella del Rio delle Amazzoni.

“Fu un evento sensazionale,” afferma Daniel García-Castellanos dell’Istituto di Scienze della Terra Jaume Almera in Spagna.

In una recente analisi pubblicata su Earth-Science Reviews, García-Castellanos e il suo team hanno identificato uno strato di sedimenti che potrebbe essere stato depositato durante la mega alluvione.

Senza questo ricongiungimento catastrofico con l’oceano Atlantico, il Mediterraneo così come lo conosciamo oggi non esisterebbe, e le navi non avrebbero potuto attraversare in lungo e in largo le sue acque per rifornire le ricche culture disseminate sui suoi litorali fin dai primordi della civiltà umana.

E oggi il mar Mediterraneo ha una fondamentale funzione di “pompa” per la circolazione delle acque mondiali.

L’evaporazione crea nelle sue acque una quantità extra di sale, che si riversa nell’Atlantico e aiuta a spingere le correnti oceaniche che circumnavigano il pianeta, influenzando le temperature, l’andamento dei temporali e molto altro.

Mentre le moderne temperature continuano la loro costante ascesa, e le calotte polari si assottigliano ai poli, è “piuttosto importante” riuscire a capire quali processi hanno portato al pianeta che vediamo oggi, afferma Rachel Flecker, geologa dell’Università di Bristol.

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Redazione

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