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L’ultimo guardiano del faro di Capri: il mare di frontiera

faro capri

Carlo D’Oriano è l’ultimo guardiano del faro di Punta Carena, a Capri: due anni fa ha lasciato quella che per 15 è stata la sua casa: “Lo resterà per sempre”, racconta. Quella del farista ormai è una figura che non esiste più. Il reportage dall’Isola del Golfo di Napoli

di Claudia Procentese

Precisamente 136 gradini sospesi tra terra e mare in un frastuono di risacca. Una scala a chiocciola che arriva fin su alla lanterna, dove partono i fasci di luce che illuminano dall’alto lo specchio d’acqua di Punta Carena. Ma da due anni il rumore dei passi umani si è ammutolito, nessuno abita più le mura circolari a picco sul mare di Capri.

«Il primo gennaio 2019 – ricorda Carlo D’Oriano, l’ultimo guardiano del faro caprese – ho chiuso tutto e sono sceso giù a consegnare le chiavi all’addetto che era venuto con un camioncino per portar via la strumentazione della Marina militare in mia dotazione, dal binocolo alle carte nautiche. Nessun passaggio di consegne, perché non c’era un sostituto. Un pugno di tristezza mi ha stretto il cuore. Era dal 1867, anno di attivazione del faro, che un guardiano lo aveva gestito, ma soprattutto vissuto». Ha una sosta improvvisa nel raccontare, Carlo. Poi aggiunge commosso: «Per quindici anni è stata la mia casa. Lo resterà per sempre».

L’insostituibile rosso pompeiano di Punta Carena

farista capri faroGli ingegneri del regno borbonico delle Due Sicilie usarono tufo grigio di Sorrento per il fabbricato, compresa la torre ottagonale alta 30 metri, e pietra lavica del Vesuvio per il basamento, il camminamento della lanterna a 73 metri sul livello del mare e la scala a chiocciola. Impiegarono cinque anni per ultimare la costruzione sulla costa occidentale dell’isola nel golfo di Napoli.

«Ogni faro ha una propria anima insostituibile, non esistono al mondo due fari uguali – spiega Carlo -. Il loro aspetto esteriore serve a riconoscerli da lontano di giorno, mentre di notte la loro luce invia una specifica frequenza di segnali». A Capri la struttura esterna è di colore rosso pompeiano con la colonna a fasce rosse e bianche, l’ottica rotante emette lampi di luce bianca ogni 3 secondi e visibili a circa 24 miglia marine, cioè una cinquantina di chilometri.

Una vita in Marina inseguendo un sogno

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Carlo D’Oriano, ultimo farista di Capri

Ma cosa fa il farista? Alla mia domanda spunta un sorriso sul volto di Carlo. Si rivede bambino, nato a Caserta e figlio di un maresciallo dei carabinieri, nomade tra caserme e città, fino a che la famiglia si ferma a Reggio Calabria.

«Piccoletto alla finestra, vedevo il faro di Messina – racconta -. Mi incantavo, fantasticavo con le luci». L’occhio magico che da lontano si apre e si chiude, che ammicca sull’orizzonte al calar della sera o al chiarore dell’alba, diventa suo compagno di giochi. «Sì, avevo già scelto, da grande volevo diventare il guardiano di un faro, da allora fu il mio sogno». E la verità dei sogni è incontestabile.

Dopo la leva in Marina, Carlo diventa sottufficiale della Guardia costiera, imbarcato su motovedette e mezzi di soccorso a Capri, Venezia, Napoli, Viareggio, Taranto, La Spezia. «Alla base Nato di Gaeta – dice elencando fatti biografici come fossero pezzi di un puzzle in cerca dell’incastro giusto – conobbi un capitano di vascello, ispettore dei fari, a cui chiesi come realizzare il mio desiderio. Ci riuscii e mi trasferii a Capri perché Claudia, mia moglie, è caprese, era un nostro ritorno sull’isola». È il “nostos” di Ulisse, quel continuo muoversi in avanti per la nostalgia di tornare indietro. Verso le proprie radici, verso l’origine di tutto. Tecnicamente è un operatore nautico, ma la fedele sentinella di un faro porta con sé l’approccio pelagico di omerica memoria. Il viaggio ha tappe non mete, perché ha inizio e fine nello stesso luogo, unica “archè”.

Essere farista

«Cosa fa il farista? Dà le informazioni alle navi che transitano, ma il farista è anche altro». Finalmente Carlo risponde alla domanda inevasa che gli ho fatto poco prima. Distinguendo tra fare ed essere. «Dalle ore 8 alle 12 – descrive – sbrigavo il servizio d’ufficio tra telefonate, posta e documenti da compilare, poi dalle 18 alle 20 controllavo l’accensione delle luci. Oltre al faro, ero responsabile anche delle luci all’ingresso del porto di Marina Grande e sul capo Tiberio. Nessun turno, in pratica ero disponibile 24 ore su 24, di domenica e di notte. Avevo il cicalino vicino al comodino del letto e, in caso d’emergenza, salivo subito sulla torre per controllare l’eventuale avaria».

Questo è il fare il farista, e l’essere? «Ero una persona di fiducia – sottolinea Carlo -. Avete mai pensato allo stato d’animo di un comandante di nave in piena tempesta che, preoccupato e impaziente, calcola “fra due ore, a questo regime di motore, dovrei scorgere il faro di Punta Carena” e finalmente lo vede e sa che lì c’è qualcuno, una presenza umana rassicurante e certa?».




Chiedo se nelle sue parole stagna una punta di polemica riguardo l’automazione dei fari che ha reso esuli e senza patria molti guardiani, ormai sostituiti dalle macchine. Dal falò al braciere, dallo stoppino alla lampada a led, ai pannelli solari. «Il faro di Capri – mi risponde – è una guida indispensabile per ogni natante, anche per quelli dotati delle più moderne strumentazioni poiché l’area è una zona d’ombra  per il segnale Gps. Ma oltre alle navi, esistono le imbarcazioni da diporto e da pesca. Poiché Punta Carena è zona oscura per il telefonino mobile, ero solito aspettare pure la barchetta che usciva di notte per pescare totani, mi assicuravo che il pescatore tornasse. Inoltre, non dimentichiamo che ci troviamo su un’isola e se capita un guasto durante il maltempo, prima che arrivi qualcuno a riparare, possono trascorrere giorni. Con il guardiano sul posto questo non succedeva».

Non solo totem della navigazione

Carlo non trattiene i dubbi e le critiche. «E i passaggi dei delfini – prosegue -, delle balene che puntualmente registravo sul giornale di reggenza e segnalavo alla capitaneria o alle associazioni ambientaliste, adesso la Guardia costiera come li monitora? E delle visite dei tanti bambini, delle scolaresche, dei turisti, dei curiosi e degli appassionati chi si occuperà? I fari sono musei vivi».

farista capriSono 147 i fari oggi attivi sulle coste italiane, da Trieste a Pantelleria, gestiti dal 1911 dalla Marina Militare. Il faro di Capri è il secondo per dimensione e portata luminosa dopo quello di Genova. «Ma è anche un pezzo di storia del nostro Paese, patrimonio culturale e paesaggistico» ribadisce Carlo.

I faristi arrivano prevalentemente dalla mobilità interna del personale della Marina militare, dopo aver ottenuto l’abilitazione di operatore nautico frequentando un corso all’ufficio tecnico dei fari di La Spezia.

Dipendenti civili del ministero della Difesa, che da tempo non bandisce più concorsi per assumere. Chi va in pensione non viene più reintegrato. I fari sono quasi tutti controllati in remoto, si spengono e si accendono con timer e sensori. Il destino è segnato.

Paure e solitudini: il viaggio della vita

A parlare con Carlo parti con il pregiudizio che la solitudine sottrae tempo utile alla vita, la nostra, rumorosa e iperconnessa di uomini urbanizzati. E ritorni, invece, con la scoperta, incredibile nella sua semplicità, che lo stare soli non significa sentirsi soli e, soprattutto, ci ricorda chi siamo. «La solitudine non è mancanza o rinuncia, ma pienezza e libertà – riflette l’ex farista di Capri -. Se ti guardi intorno, sei sempre parte di qualcosa. Nel faro leggevo, la sera passeggiavo, d’inverno non c’era nessuno, d’estate c’erano le chiacchiere nello stabilimento di Nello che a settembre smonta tutto. Ho avuto come amici i gabbiani e i delfini. Ne esci un po’ solitario, è vero, dopo un’esperienza del genere, anche in compagnia ascolti ma non parli. Tuttavia due anni a Formia ho recuperato». E scoppia a ridere.




Adesso Carlo, 66 anni, da due in pensione, la sera vede il faro di Gaeta. Ancora un altro faro compagno di vita. Trasferitosi nel Lazio, vuole costituire un’associazione di ex faristi e non è più tornato a Capri «a causa del Covid, ma lì è rimasta mia figlia che si è sposata».

Legato al concetto di solitudine resta l’idea di paura. Bisogna avere paura del mare? «Non bisogna mai sottovalutarlo – risponde, ricordando precisamente una data -. Il 7 febbraio del 2013 alle ore 11,30 ho intravisto qualcosa di anomalo all’orizzonte, una palla di fuoco in mezzo al mare. All’improvviso un fulmine colpisce il faro e scoppia un incendio. Ci siamo salvati per miracolo. Questo è vivere su uno sperone, senti addosso l’impeto del mare che sbatte contro la scogliera e fa tremare il letto, mentre l’odore salmastro ti invade le narici».

La lezione del mare

FARISTA CAPRI OK Ci si può svegliare di notte e sentire il ronzio della macchina che imprime la rotazione alla luce in cima alla torre. Allora ti rigiri nel letto per riprendere sonno oppure sali sulla scala per dare un’occhiata se tutto è a posto, mentre la tua ombra moltiplicata dalla luce della lanterna si imprime sulla parete interna della volta rotonda. Ed è qui che scopri bruscamente la tua centralità.

Non sei lontano dal mondo, ma al centro del mondo. Quest’ultimo comincia a lanciarti una molteplicità di segnali che avevi solo superficialmente distinto nel frastuono della terraferma e che adesso invece diventano di una nitidezza sconvolgente, paradossalmente ovvia. «Si è convinti che il faro, su un’isola, è un luogo dove non succede niente, ma qui lo spettacolo dell’alba e del tramonto è diverso ed emozionante ogni giorno». Ricorda Carlo, listando i colori del mare, «dall’argenteo, al rosso, al blu blu, al nero nero», il doppio rafforzativo.

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Ritorna, ora, prepotente la domanda “ma chi è il farista?”. Questa volta la risposta è a portata di parole. «È colui che impara dal mare – chiosa Carlo -. Cosa ci insegna il mare? La nostra precarietà, è un ritornare ad un rapporto viscerale, senza filtri, in cui se rispetti la natura, lei ti gratifica. Ti insegna a vivere con un poco che diventa tutto. Io conservavo finanche un insignificante chiodino perché sapevo che prima o poi mi sarebbe stato utile».

Insomma, l’imparare a vivere per sottrazione in una società che considera il superfluo necessità. La lezione del mare è chiara. Il faro che segna la via dei naviganti, ma soprattutto apre le vie per percepire una natura dimenticata e rivoluzionaria. Il farista che spia l’orizzonte di quel mare trincea di vita. Il viaggio che si compie quando stacchiamo davvero tutti gli ormeggi che ci distraggono dall’essenziale.

 

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