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Pesca del Pesce Spada, l’Ue respinge il ricorso dell’Italia

La Corte di Giustizia dell’Unione Europe ha respinto ricorso dell’Italia contro il regolamento sui totali ammissibili di cattura del pesce spada. L’Italia aveva chiesto l’annullamento del regolamento 2017/1398 del Consiglio del 25 luglio 2017 che modifica il regolamento 2017/127 su determinate possibilità di pesca perchè giudicato troppo limitativo delle possibilità di pesca del pescespada.

Si tratta del regolamento deciso in base agli impegni adottati dall’Unione nel quadro della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (Iccat), l’organizzazione internazionale che adotta misure per la conservazione a lungo termine e lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca.

Per la Corte il regolamento ‘non contrasta con l’interesse dell’Unione a garantire lo sfruttamento, la gestione sostenibili e la conservazione delle risorse biologiche marine e dell’ambiente marino’. 

Fino alla fine del 2016, le raccomandazioni dell’Iccat prevedevano, per quanto riguarda il pesce spada del Mediterraneo, soltanto misure tecniche di protezione, senza mai fissare degli specifici ‘totali ammissibili di catturà (Tac). In conseguenza delle decisioni della riunione annuale dell’Iccat nel novembre 2016, le parti contraenti (tra cui l’Unione europea e altri Paesi extra Ue) nonchè le parti/entità non contraenti cooperanti alla convenzione Iccat hanno adottato un nuovo piano pluriennale di gestione e di protezione dello stock di pesce spada del Mediterraneo, con l’introduzione, a partire dal 2017, di un Tac fissato a 10.500 tonnellate, calcolato sulla base dei dati storici relativi alle catture negli anni 2010 2014.

Dopo i successivi negoziati, l’Unione ha ottenuto una quota pari a 7.410,48 tonnellate, poi attribuita ai singoli Stati membri sulla base dei dati relativi alle catture per il periodo 2012 2015 (quindi con esclusione degli anni 2010 e 2011). Con la sentenza di oggi, la Corte respinge il ricorso dell’Italia premettendo che, nel settore della conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, ‘il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale, corrispondente alle sue responsabilità politiche’.

Di conseguenza, il controllo della Corte è limitato all’accertamento di eventuali errori manifesti o dell’eventuale carattere manifestamente inappropriato della misura impugnata. La Corte rileva che, nel caso in questione, non ricorrono nè gli uni nè l’altro. La Corte esclude, in particolare, che l’Italia possa lamentare una mancanza di motivazione del regolamento impugnato, visto che essa è stata strettamente coinvolta nell’iter decisionale di determinazione e di ripartizione del Tac di 7.410,48 tonnellate per il pesce spada del Mediterraneo, tanto in seno all’Iccat quanto, relativamente alla ripartizione di questo tonnellaggio tra gli Stati membri, in seno all’Unione’.

Inoltre, viene escluso che siano ravvisabili la violazione del principio di proporzionalità o l’erronea valutazione dei fatti o la violazione del principio di buona amministrazione. Intanto, il fatto che l’Iccat avesse scelto gli anni 2010 2014 quale periodo di riferimento per l’assegnazione della quota del Tac di pesce spada del Mediterraneo spettante all’Unione non obbligava il Consiglio ad adottare questo stesso periodo per procedere alla ripartizione dei contingenti tra i singoli Stati membri interessati. In ogni caso, ‘il Consiglio non ha effettuato una scelta irragionevole escludendo di prendere in considerazione i dati relativi alle catture del 2010 e del 2011, perchè tali dati appaiono effettivamente inficiati da taluni indizi di irregolarita”. Infatti, dopo che la sentenza della Corte del 29 ottobre 2009, Commissione/Italia (C 249/08), aveva accertato alcuni inadempimenti dell’Italia in materia di pesca, ]la Commissione aveva verificato la permanenza degli stessi inadempimenti dell’Italia ancora negli anni 2010 e 2011.

La procedura contro l’Italia era stata poi chiusa nel 2014 perchè l’Italia si era messa in regola: cio’, tuttavia, ‘non esclude che, per il 2010 e il 2011, i dati italiani sulle catture del pesce spada siano potenzialmente falsati dai suddetti inadempimenti’. La Corte evidenzia che il regolamento non contrasta con l’interesse dell’Unione di garantire lo sfruttamento e la gestione sostenibili e la conservazione delle risorse biologiche marine e dell’ambiente marino. Neppure il regolamento è contrario al principio di ‘stabilità relativa’, che non conferisce ai pescatori alcuna garanzia di cattura di un quantitativo fisso di pesce ma comporta unicamente il mantenimento di un diritto ad una percentuale fissa per ciascuno Stato membro nell’ambito della ripartizione nell’Unione (e non, invece, nell’ambito dell’assegnazione da parte dell’Iccat all’Unione della quota globale del Tac).

Tale diritto al mantenimento di una percentuale sussiste, evidentemente, solo se preesista una ripartizione delle possibilità di pesca, cioè quando vengano in questione le possibilità di pesca già esistenti. Nel caso in questione, al contrario, si tratta della ripartizione di nuove possibilità di pesca tra Stati membri in occasione dell’introduzione di un nuovo Tac. La Corte rileva anche che il Consiglio ‘non appare aver violato il principio di irretroattivita’, tenuto conto peraltro del fatto che, al momento dell’entrata in vigore del regolamento impugnato (30 luglio 2017) le possibilità di pesca riguardanti il pesce spada del Mediterraneo erano lontane dall’essere esaurite’. E che il regolamento impugnatò non appare violare il principio di tutela del legittimo affidamento, in quanto l’attribuzione di nuove possibilità di pesca del pesce spada del Mediterraneo, pur dovendo essere ancora determinata nella sua esatta entita’, era nota fin dall’inizio della campagna 2017′.

Neppure il regolamento in questione appare violare il principio di certezza del diritto, atteso che la ripartizione del Tac tra gli Stati membri (e quindi la certezza del diritto) si è proprio realizzata con l’entrata in vigore del regolamento impugnato. Infine, la Corte rileva che l’Italia ‘non ha dimostrato che i pescatori italiani siano stati trattati in maniera meno favorevole rispetto ai pescatori di altri Stati membri posti in una situazione paragonabile’.

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