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Ipotesi tassa internazionale per emissioni CO2 nel commercio marittimo

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Verrà presentata al vertice per un nuovo patto finanziario globale, che andrà in scena a Parigi il 22 e 23 giugno, due settimane prima di una riunione cruciale dell’Organizzazione marittima internazionale, l’idea di una tassa internazionale sulle emissioni di anidride carbonica prodotte dal commercio marittimo.

“Speriamo di lanciare un appello molto forte su questo tema la prossima settimana. Poi l’Imo si riunirà a fine giugno/inizio luglio e potrebbe adottare una decisione universale con un calendario di attuazione”, ha affermato una fonte diplomatica europea.

Tassa su emissioni e immobilismo del commercio marittimo

Il trasporto marittimo, responsabile del 3% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra, cioè quasi quanto il trasporto aereo, è uno dei settori che viene accusato maggiormente per lo scarso impegno nella lotta al cambiamento climatico.




Le Isole Marshall e le Isole Salomone propongono una tariffa di 100 dollari per tonnellata di carbonio, equivalente a 300-400 dollari per tonnellata di olio combustibile pesante. Secondo la Banca Mondiale, questo potrebbe generare tra i 60 e gli 80 miliardi di dollari (54,84 e 73,12 miliardi di euro) all’anno di entrate per i Paesi emergenti per finanziare la loro transizione e l’adattamento al cambiamento climatico. “Dobbiamo fissare un prezzo alle emissioni di gas serra per ridurre il divario di prezzo tra l’uso di olio combustibile e le tecnologie che non emettono carbonio”, ha dichiarato Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima. Anche il capo di Maersk, Soeren Skou, ha sostenuto l’idea di una tassa di questo tipo, con un tasso di 150 dollari per tonnellata di carbonio. Le navi portacontainer che solcano i mari del mondo trasportano oltre l’80% delle merci mondiali, secondo l’Imo, l’organismo delle Nazioni Unite responsabile della regolamentazione del settore.

Nel 2021, secondo Bloomberg, il settore avrà raccolto profitti storici per 150 miliardi di dollari, cavalcando l’onda della pandemia. Da allora la situazione è tornata alla normalità. Come il trasporto aereo, anche il trasporto marittimo non rientra nell’Accordo di Parigi del 2015. Nel 2018, l’Imo ha fissato per i vettori l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 50% entro il 2050 rispetto al 2008. Tale obiettivo è considerato troppo poco ambizioso, in quanto molti settori, a partire dall’aviazione, puntano a zero emissioni nette entro la stessa data.




L’Imo dovrà rivedere la propria strategia in occasione della riunione del Comitato per la protezione dell’ambiente marino (Mepc) che andrà in scena dal 3 al 7 luglio a Londra. In questa occasione, l’Unione Europea proporrà un obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2050, con due tappe fondamentali: -29% entro il 2030 e -83% entro il 2040. “Sebbene la proposta dell’UE, sostenuta dalla Francia, non sia sufficiente a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, è comunque un passo nella giusta direzione”, ha commentato Faïg Abbasov dell’ONG Transport and Environment.

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Stati Uniti, Canada, Regno Unito e tutti gli stati insulari del Pacifico minacciati dall’innalzamento del livello del mare puntano ad ottenere un accordo ancora più ambizioso, che miri ad una riduzione del 37% entro il 2030 e del 96% entro il 2040. Paesi come Argentina e Arabia Saudita, ancora fermi come gli Emirati Arabi, hanno fatto dietrofront e si sono schierati a favore della proposta di zero emissioni entro il 2050.

Una delle soluzioni più percorribili è l’impiego di nuovi carburanti. Ma la criticità dell’idea sta nel fatto che i porti mancano ancora delle infrastrutture necessarie per questi nuovi carburanti. Sono allo studio anche progetti per navi da carico alimentate in parte a vela. Il gas naturale liquefatto (Gnl), particolarmente apprezzato come combustibile alternativo dall’industria navale mondiale, è stato pesantemente criticato per le sue perdite di metano, che ha un potenziale di riscaldamento globale molto più alto della CO2.

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