Continua il nostro viaggio alla scoperta delle imbarcazioni italiane che hanno partecipato all’America’s Cup: oggi è il turno del Moro di Venezia, la prima barca non anglofona nella storia della competizione che è riuscita ad accedere alla finale contro il Defender e vincere la Louis Vuitton Cup. Una storia epica legata a doppio filo con il suo patron, Raul Gardini
di Donato Giannini
11 marzo 1990, Venezia. In una sontuosa cerimonia, con la colonna sonora di Ennio Morricone e la regia di Franco Zeffirelli, viene varato il Moro di Venezia, la barca italiana sfidante della 28esima edizione della Coppa America. È la prima di una serie di cinque vari, tra Venezia, Puerto Portals e San Diego.
Sarà però il Moro V, il più competitivo della flotta, a gareggiare in America nel maggio del 1992 in una delle imprese più belle e indimenticabili per la vela italiana. ITA 25, il numero velico impresso, poco sotto lo stemma della coppa più ambita, sopra la vela dello scafo color rosso progettato dall’argentino Germàn Fres e assemblato nei cantieri della Montedison, con lo stemma del leone veneziano stilizzato che ruggiva ogni volta che veniva aperto lo spinnaker e si andava di poppa.
Ma l’embrione del nome e dell’esperimento risale al 1976 quando Raul Gardini e il suocero Serafino Ferruzzi, realizzano il primo vero maxi italiano lungo 20 metri. Una passione, quella della famiglia, che ha spinto l’imprenditore di Ravenna a investire ingenti somme e coinvolgere una costellazione di sponsor, unica nella storia della Coppa.
Il varo de Il Moro di Venezia in un video della Fondazione Raul Gardini
Quel maggio 1992: il vento leggero di San Diego
Alta tecnologia e spettacolo. Sono i nuovi ingredienti introdotti nella 28esima edizione. Si passa dalle barche di 12 metri a barche di ‘75 piedi. Nonostante siano più lunghe rispetto alle precedenti, hanno una superfice velica maggiore e sono più leggere. Musica per le orecchie di Gardini che dell’avanguardia e della sfida ne faceva il suo pane quotidiano. Ben 100 miliardi di lire di investimento per il Moro che insieme a America 3 risulterà essere la spesa più onerosa tre le otto sfidanti.
Il team si presenta con uno skipper dallo sguardo vispo e dal sorriso ben nascosto dietro i baffi. Segni di riconoscimento di quell’avventura. Gardini gli dirà anni prima che “senza di lui non avrebbe partecipato alla Coppa America”. Un americano di San Francisco, classe ’59, il cui nome rimarrà impresso nelle teste degli italiani per le gesta nelle acque di San Diego: Paul Cayard.
Sarà grazie a lui, al tattico Tommaso Chieffi e al resto dell’equipaggio, che per la prima volta, dal 1851, un team non anglofono riesce ad accedere alla finale contro il Defender, che in quell’anno era rappresentato da America 3 e alzare al cielo la Louis Vuitton Cup. È stata la scelta più importante della mia vita, quella di accettare la sfida che Raul mi ha lanciato per la Coppa America”.
Moro di Venezia: le battaglie di Paul Cayard
Sin da subito il Moro battaglia con le altre imbarcazioni spuntandola nei round robin e accedendo alle semifinali. Sono 4 i semifinalisti: Giappone, Francia, Nuova Zelanda e Italia. Gli italiani riescono ad arrivare alla finale della Louis Vuitton Cup contro i Neozelandesi timonati da Rod Davis. Inizia una finale che passerà alla storia. I kiwi infilano 3 vittorie e si portano a un passo dalla vittoria, ma sul 3 a 1 Paul Cayard si appella agli organizzatori evidenziando un’irregolarità del bompresso sulla barca avversaria.
I giudici approvano la segnalazione e la barca italiana prende coraggio. Si arriva sul 3 a 3, i neozelandesi perdono la concentrazione e clamorosamente fanno fuori il timoniere Davis lanciando una giovane promessa che diventerà devastante in questa competizione negli anni successivi. È Russel Coutts che però non può niente contro Cayard che gli strappa la vittoria sul filo del rasoio nell’ultima regata. Il Moro è in finale contro il Defender, l’Italia esulta, la gente sogna. Il dominio anglosassone, almeno per la grande finale, cessa dopo 141 anni.
Raul Gardini, ascesa e discesa del corsaro gentiluomo della finanza del mare
Come in una tragedia di Shakespeare, la vita del contadino Raul Gardini nell’imprenditoria italiana inizia con una morte, quella del suocero Serafino Ferruzzi e dal cui evento nefasto, la famiglia Ferruzzi prese la decisione di affidare al marito di Idina, appunto Gardini, le redini di un impero agroalimentare che Serafino aveva costruito dal dopoguerra in poi. Gardini si dimostra subito una abile industriale e uno spregiudicato finanziere. Da lì la scalata: la Ferruzzi vola, Gardini diventa presidente della Montedison e più tardi intraprende la join ventur con lo Stato italiano creando la Enimont attraverso la fusione pubblico-privato di Eni e Montedison.
Si arriva al 1988, gli anni in cui il Moro di Venezia è in fase embrionale, gli anni in cui Gardini perde il sostegno del gruppo industriale, il giudice (in seguito scoperto essere stato corrotto dalla parte pubblica) che decide il fermo provvisorio delle sue azioni Montedison, ma lui tira dritto con la sua visione di economia e pensa alla Coppa America. ‘Io sono la chimica in Italia’, una dichiarazione rimasta alla storia con diverse conseguenze.
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Tra finanza, imprenditoria e, per forza di cose, politica Gardini negli anni ’80 diventa uno degli uomini più risoluti e influenti in Italia. A Ravenna, luogo di nascita (7 giugno 1933), il re. Il Gruppo Ferruzzi, la scalata alla Montedison, l’Enimont e la lungimirante intuizione del biocarburante, Gardini guardava in grande lontano: voleva creare il polo chimico-agroalimentare (all’epoca la commistione tra le due aree non era si era ancora compiuta) più importante d’Europa. Trattava con Chicago e Mosca allo stesso tempo, creando dissapori tra l’una e l’altra parte. Il suo gruppo si muoveva ad ogni latitudine, era il capo di un impero con in mente, però, sempre la cosa per lui forse più importante: la famiglia.
E il Moro di Venezia era una famiglia, lui il padre. Quel marchio sinonimo di prestigio in tutto il mondo, grazie alle eccellenze italiane, è legato a doppio filo con il suo fondatore. E come un corsaro, il Moro di Venezia elimina uno a uno gli avversari nella semifinale del 1992, fino all’eclatante vittoria contro i neozelandesi nella finale della Louis Vuitton Cup che dà diritto all’accesso alla finalissima contro il Defender America 3. Cayard racconta:” Raul se ne andò durante la semifinale e mi disse che ci saremmo visti per la finale”.
Ma il sogno in quella finale si spegne contro gli americani che infliggono un 4 a 1 agli italiani. La sconfitta. Quelle notti l’Italia era sveglia a seguire le imprese di quei ragazzi e di quello scafo rosso che alzava al vento la bocca del leone veneziano e del suo patron. Erano notti, oltre l’Atlantico. Un anno dopo, una mattina del 24 luglio 1993, a Milano, quell’Italia era sveglia a guardare palazzo Belgioioso. Per l’ultima sfida di Raul Gardini, poche ore prima di essere interrogato dal pool di Mani Pulite e dopo che aveva salutato il mondo con una pistola puntata alla testa.
Redazione di Non solo Nautica, la rivista online sulla nautica e sul mare a cura di Davide Gambardella.